Il bizzarro museo degli orrori, Dan Rhodes, 256 pag.
Pavarotti, nonostante la mole imponente, è timido e riservato, parla con una vocina flebile e lascia che sia la moglie ad occuparsi delle faccende più importanti, come ad esempio la gestione del museo che hanno aperto per convincere gli aspiranti suicidi a cambiare idea e a preferire la vita a quel gesto così definitivo. Ma i due non sanno che ogni stanza del museo provoca in realtà l'effetto opposto, e non è raro che il vecchio guardiano, subito prima che un ragno gli si infili in bocca durante il dormiveglia, senta dalla sua stanza dell'ultimo piano il rumore di una sedia che cade o dell'ultimo lamento disperato di uno che ha deciso di farla finita impiccandosi o tagliandosi le vene, dopo essere rimasto nascosto in un angolo e aver aspettato che calasse la notte per andarsene una volta per tutte.
A quel punto il vecchio si ritrova costretto a scendere, ripulire tutto, e con la solita flemma che lo contraddistingue chiamare il suo amico medico perché venga a prendere il corpo.
Intanto, in un'altra città, Madalena si rende conto che Mauro non è più in grado di amarla come lei vorrebbe, e, quasi per caso, scopre in un piccolo articolo di giornale l'esistenza di uno strano museo che potrebbe fare al caso suo.
È tutto trattato con ironia, e il romanticismo non manca, ma pur essendo una favola spensierata si rimane stupiti di ritrovarsi di fronte a cannibalismo, necrofilia ed altri temi non proprio allegri, perlomeno dopo aver visto la copertina viola e “soffice”, quasi fosse un libro per bambini. Carino.
Disoccupazione creativa, Ivan Illich, 96 pag.
Con Giulia era facile evitare di parlare di quello che succedeva al di fuori del nostro universo. Avevamo vent'anni e altro a cui pensare, e le questioni di poco conto che non ci riguardavano le liquidava aggiustandosi i capelli in un tentativo veloce di treccia, oppure limitandosi a guardarmi e facendomi dimenticare tutto ciò che non mi piaceva. Non che lo volesse davvero, sia chiaro, però ci riusciva e questo mi bastava.
Siamo uguali, mi diceva in tono rassegnato, come se già avesse capito che crescendo avremmo avuto bisogno di altro e che i progetti, il lavoro e lo studio sarebbero stati necessari. Per potersi inserire, realizzare, semplicemente per vivere come ci viene imposto. Ora, dopo anni e anni, le mie priorità sono rimaste più o meno le stesse e tutto quello a cui ancora non pensavo per colpa dell'età continua a sembrarmi estraneo, ingiusto. Il sentirsi dire che a ventisette anni sarebbe necessario iniziare a vedere il mondo nel “modo giusto” non fa altro che consolidare il mio pensiero. Alcune idee non vanno bene semplicemente perché non corrispondono a quelle della maggioranza?
A farmi paura è tutta questa uniformità, e andrà a finire come nelle pubblicità per il turismo. Sono tutte uguali: ti fanno vedere gente che fa surf, altra che gioca a golf, una coppia in riva al mare, discoteche e altre attrazioni ormai disponibili nella maggior parte dei paesi del mondo, senza per forza dover andare fino a quello sponsorizzato dallo spot. Nient'altro. Paesi come prodotti da consumare.
Creano i bisogni e a pagamento ti forniscono la soluzione. Per ora stanno vincendo loro. La merda è lì, in bella vista, e non serve nemmeno più nasconderla. Viene accettata per quello che è. Ma va bene così, a quanto pare...
A volte però, fra dialoghi brevi ma benefici con gente che tutto sommato la pensa come me e tentativi di difesa da chi è convinto che vada tutto bene e
d'altronde il mondo va così e pensandola come te non si va avanti e sei un disadattato, capita di leggere libri come questo di Ivan Illich.
Tutti i partiti politici esistenti ritengono necessaria una produzione ad alta intensità d'energia, magari con disciplina cinese, senza capire che la società da essa derivante negherà ancora di più alla gente il libero uso dei propri arti. Qui le auto private, là gli autobus pubblici, scacceranno le biciclette dalla strada. Tutti i governi vogliono una forza produttiva ad alta intensità di occupazione, ma sono restii a riconoscere che gli impieghi possono anche distruggere il valore d'uso del tempo libero. Tutti insistono perché si arrivi a una definizione professionale, più completa e oggettiva, dei bisogni della gente, ma sono insensibili all'espropriazione della vita che ne consegue.
Indifferente a ogni scambio che non sia contrassegnato da un prezzo monetario, la società industriale ha creato un paesaggio urbano inadatto a persone che non divorino ogni giorno in metalli e carburanti l'equivalente del proprio peso, un mondo nel quale la costante necessità di difendersi dalle conseguenze indesiderate di un numero maggiore di cose e di controlli ha portato alla luce nuovi filoni di discriminazione, di impotenza e di frustrazione.
In pochi decenni il mondo si è amalgamato. Le reazioni degli uomini agli eventi quotidiani si sono standardizzate. Le lingue e le divinità possono ancora apparire differenti, ma ogni giorno altra gente si aggrega a quell'enorme maggioranza che marcia al ritmo della medesima megamacchina. [...] Ora striduli e soporiferi, i media penetrano a forza nella comune, nel villaggio, nell'azienda, nella scuola. I suoni prodotti dagli autori e dagli annunciatori di testi programmati stravolgono di giorno in giorno le parole della lingua viva facendone tanti blocchi di frasario per messaggi prefabbricati. Oggi solo chi è tagliato fuori dal mondo oppure l'anticonformista ricco e ben protetto può far giocare i propri bambini in un ambiente dov'essi sentano parlare persone anziché divi, annunciatori o istruttori. In ogni parte del mondo si vede dilagare quella disciplinata acquiescenza che caratterizza lo spettatore, il paziente e il cliente. Aumenta rapidamente la standardizzazione del comportameno umano.
Ivan Illich