venerdì 29 luglio 2011

Driver l'imprendibile


The Driver
Di Walter Hill, 1978 (USA, UK)
Con Ryan O'Neal, Bruce Dern, Isabelle Adjani
Scritto da Walter Hill
Montaggio di Robert K. Lambert, Tina Hirsch
Fotografia di Philip H. Lathrop
Musiche di Michael Small
Durata: 91 min.

- I don't like that.
- That's the whole idea.


Un anno prima di girare The Warriors e produrre Alien, Walter Hill se ne esce con un secondo lungometraggio davvero degno di nota.
The Driver, o il Cowboy, fa l'autista nelle rapine. È il migliore in città, non sbaglia mai, costa tanto e sceglie con cura i partner con cui lavorare. Conduce una vita solitaria, non ha tempo per le distrazioni e non spende praticamente nulla dei soldi che guadagna.
Poi c'è lo sbirro, il Detective, anche lui senza un vero nome, con la semplice funzione di antagonista spietato, inspiegabilmente determinato nel voler sbattere il Cowboy in galera; una vera ossessione la sua, tanto che pur di incastrarlo e vederlo dietro le sbarre è disposto ad organizzare un colpo in banca servendosi di una coppia di violenti rapinatori che ha appena arrestato. I suoi colleghi non approvano, gli dicono che non ha senso e che le cose potrebbero prendere una brutta piega: a rapinare le banche, di solito, è proprio la gente a cui danno la caccia. Ma tutto questo, al Detective, sembra non importare.
Ovviamente niente andrà come previsto, e il Cowboy sarà costretto a guardarsi le spalle sia dalla polizia che dai suoi nuovi colleghi.
Classico film d'azione anni '70: essenziale, solido, senza momenti morti o scene inutili. The Driver è un western metropolitano praticamente perfetto, con personaggi da noir semplici ma comunque ben caratterizzati, dialoghi efficaci e un paio di scene memorabili. Assurda quella in cui il protagonista accetta finalmente di parlare con quelli che vogliono incastrarlo per conto della polizia: sale sulla loro macchina, la distrugge quasi completamente durante un giro di prova in un parcheggio sotterraneo e poi se ne va, faccia seria ma rilassata come al solito, dicendo che lui, con gente come loro, non ci lavora.
Bravi anche gli attori, a parte una Isabelle Adjani che in alcuni momenti risulta un po' impacciata. Davvero divertente, merita di sicuro una visione.

martedì 26 luglio 2011

Laborioso, laborioso, laborioso.


Ghiaccio-Nove, Kurt Vonnegut, 1963

Un fervente bokononista che si accingesse a parlare di questo libro, probabilmente userebbe proprio questa parola: laborioso. Ripetuta tre volte però, per sottolineare quanto sia davvero complicato e imprevedibile, in realtà, il meccanismo che regola la vita. Anche se, va detto, laborioso, laborioso, laborioso andrebbe usato più per questioni importanti, di quelle che ti fanno sentire piccolo e insignificante. Ma va bene anche così; Bokonon, ne sono sicuro, non se ne avrebbe a male.
Il bokononismo è una religione che parte dall'assunto che tutte le religioni, bokononismo compreso, siano fondate su un mare di menzogne, ed è proprio da qui che parte Vonnegut, spiegando già nella prima pagina che niente è vero, in questo libro, e spingendo il lettore a vivere di foma, quelle innocue bugie che riempiono la nostra quotidianità.
La storia è più o meno questa: John – o Jonah, è uguale – è uno scrittore che vuole scrivere un libro sul giorno in cui gli americani sganciarono la bomba atomica su Hiroshima, e decide di concentrarsi non tanto sugli accadimenti più tragici ed importanti, quanto sul modo in cui alcuni degli scienziati responsabili della creazione dell'ordigno avessero trascorso la giornata del 6 agosto del 1945 – il giorno della prima esplosione, appunto. Felix Hoenikker, il padre della bomba, è il personaggio che più lo interessa, e John si mette sulle sue tracce partendo da tutte le persone che avevano lavorato con lui mentre era ancora in vita, arrivando poi a contattare i suoi tre figli: Angela, Frank e il piccolo Newt.
Conducendo le sue indagini, John finisce per scoprire che molti anni prima, un generale della Marina aveva commissionato a Felix un'invenzione in grado di solidificare istantaneamente il fango, di modo che i suoi marines non dovessero più sporcarsi o impantanarsi in quella melma. Dapprima restio, Felix se ne interessò per davvero, e dopo qualche anno nacque così il Ghiaccio-Nove, l'arma più pericolosa che il genere umano avesse mai anche solo immaginato: basterebbe infatti una piccola scaglia di quel materiale per solidificare un intero oceano, e di conseguenza fiumi, reti idriche e via dicendo...
John viene poi a conoscenza del fatto che i tre figli di Felix, spaventati da una tale invenzione, decisero di distruggerla, conservandone però una piccola scaglia ciascuno...
Era da parecchio che un libro non riusciva a farmi ridere così tanto, e sono bastate davvero poche pagine perché Vonnegut mi coinvolgesse completamente in questo suo mondo ironico e surreale, pieno di personaggi strambi e particolari che racchiudono in sé tutti i difetti e le fobie della società attuale – e Ghiaccio-Nove, malgrado contenga riferimenti più o meno espliciti alla guerra fredda e alla paura del nucleare, è sempre più attuale ogni giorno che passa.
In più, dopo aver letto Il gioco di Ender, che pensavo fosse un classico ma che si è rivelato una specie di propaganda militarista con protagonisti bambini di dieci anni, fa davvero piacere leggere della fantascienza scritta da un simpatizzante anarchico come Vonnegut che, di fatto, critica tutto quello che mi piace veder criticato, dalla religione alla stupidità intrinseca di ogni tipo di Potere.

domenica 24 luglio 2011

Wristcutters - Una storia d'amore


Wristcutters: a love story
Di Goran Dukic, 2006 (USA, UK)
Con Patrick Fugit, Shea Whigham, Shannyn Sossamon, Tom Waits, Leslie Bibb, John Hawkes
Scritto da Goran Dukic, tratto dal racconto di Etgar Keret
Montaggio di Jonathan Alberts
Fotografia di Vanja Cernjul
Musiche di Bobby Johnston
Durata: 88 min.

Zia, dopo essere stato lasciato da Desiree, decide di farla finita; mette scrupolosamente a posto la stanza, dà l'acqua alle piante, passa l'aspirapolvere, pulisce addirittura la lampada e si taglia poi le vene davanti allo specchio del bagno. Accasciatosi privo di forze sulle piastrelle, il suo ultimo pensiero va purtroppo a un mucchietto di polvere colpevolmente sfuggito alla sua attenzione, rovinandogli la perfezione del momento; ma ormai è tardi per i rimpianti, un ultimo respiro ed è tutto finito, o quasi...
In realtà Zia non muore, o meglio, muore ma si risveglia nella destinazione obbligata di tutti coloro che si sono suicidati: un mondo similissimo al nostro in cui è però impossibile sorridere. Nella città senza nome in cui finisce, le cose sembrano procedere grosso modo come quando era in vita. Si trova quindi un lavoretto in un ristorante e passa le serate a bere birra e a giocare a biliardo in compagnia del suo nuovo amico Eugene, un ex musicista russo, fino a quando un vecchio conoscente incontrato per caso non gli fa sapere che Desiree si è suicidata un mese dopo la sua morte. Dopo poche ore, Ray e Eugene partono quindi in macchina alla sua ricerca, senza però avere la minima idea di dove andare. Ai due avventurieri si aggiunge Mikal, una ragazza che sostiene di non essersi suicidata e di essere finita lì per errore.
Facendo le sue apparizioni cinematografiche in film come Down by law, Dracula e La leggenda del re pescatore, Tom Waits mi aveva abituato decisamente bene. Poi mi è capitato di vederlo anche in Domino, Parnassus e Codice Genesi, e ho iniziato a storcere il naso; insomma, pensavo se li scegliesse solo belli. In questo caso, anche se cronologicamente precedente a due degli ultimi titoli che ho citato, ha decisamente rimesso le cose a posto. Ma Tom Waits non è sicuramente il motivo principale per cui vedere questo film. Wristcutters è una specie di commedia romantica surreale e delicata che ricorda non poco certe particolarità del cinema di Jarmusch, pur non riuscendo mai a risultare altrettanto affascinante.
Sul difficile tema del suicidio ci sarebbe molto da dire, ma Dukic, nonostante decida di affrontarlo in modo decisamente leggero, non diventa mai volgare, e riesce anche ad essere toccante.
Consigliatissimo; peccato solo per una parte finale un po' forzata e frettolosa.


martedì 19 luglio 2011

FAQ about time travel


Di Gareth Carrivick, 2009 (UK)
Con Chris O'Dowd, Marc Wootton, Dean Lennox Kelly, Anna Faris
Scritto da James Mathieson
Montaggio di Stuart Gazzard, Chris Blunden
Fotografia di John Pardue
Musiche di James L. Venable
Durata: 83 min.

Time travel. It'll turn your brain into spaghetti if you let it. Best not to think about it. Best just to get on with the job in hand. Which is destroying the enemy before they're even born and have a chance to threaten us. We're expecting any resistance to be light, because the ancestors of our enemies have yet to evolve any thumbs... or indeed spines. But that does not change the fact that they may one day evolve into a species that may pose a threat to us. And for that reason, we are going to rain down a fiery death upon them that will turn the surface of their planet into a radioactive desert! Because we are the planetary peace corps! And that is what we do! Now, are you nappy-wearing motherfuckers ready to lock and load, and get it on?

Non è il discorso di un comandante invasato che carica i suoi uomini prima di una guerra intergalattica, non ci troviamo in un lontano futuro a bordo di un'avveniristica astronave e nessuna razza aliena minaccia la nostra inutile esistenza. A parlare è Ray, impiegato in un parco di divertimenti, e il suo pubblico è composto unicamente da bambini innocenti, arrivati fin lì armati di occhialini 3D e convinti di dover semplicemente affrontare l'ennesima, pacifica attrazione della giornata. Il discorso di Ray scatenerà invece un insieme caotico di lacrime, vomito e grida di terrore, e quello che voleva essere un timido tentativo di coinvolgere maggiormente i marmocchi accorsi in massa, lo porterà al licenziamento. Nell'ufficio del capo, con ancora indosso l'improbabile tuta spaziale, il nostro Ray non proverà nemmeno a difendersi: troppo crudele, quella sua uscita al di fuori degli schemi; i bambini, si sa, cercano sicurezza anche nelle attrazioni più avventurose.
Per tirarsi su il morale dopo il licenziamento, Ray e altri due suoi amici si ritrovano quindi al pub, a bere pinta su pinta e a parlare del più e del meno. Salta fuori, come al solito, l'argomento viaggi nel tempo, e dopo pochi minuti i tre si ritrovano a condividerne con trasporto dubbi e teorie. A un certo punto, dopo essersi alzato per occuparsi dell'ennesimo giro di birra collettivo, Ray torna al tavolo e confessa divertito ai suoi amici di aver appena incontrato una donna proveniente dal futuro. Mentre lui è convinto che si sia trattato di uno scherzo, Toby e Pete insistono nel dire che non ne sanno niente, e faticano quindi a credergli. Dopo qualche minuto di scetticismo generale, scopriranno che entrando nel bagno del locale è effettivamente possibile viaggiare nel tempo, e si ritroveranno intrappolati fra varie esistenze parallele, nel costante ed apparentemente inutile tentativo di tornare al presente e mettere a posto le cose.
Viaggi nel tempo e realtà parallele hanno da sempre affascinato scrittori, registi e appassionati di fantascienza, scatenando ogni volta dubbi e domande (“sono confuso, sono confuso”, continua a ripetere Pete in una scena del film). FAQ about time travel (un grazie ad Alice, che ne parla qui, per avermelo fatto conoscere) non tenta di rispondere a nessuna di esse, e riprende la maggior parte dei luoghi comuni già analizzati in altre opere, ma lo fa in modo diverso, basandosi principalmente su dialoghi intelligenti e su una trama originale e tutto sommato imprevedibile. Nonostante il budget ridicolo e gli effetti speciali scadenti, Carrivick e soci creano una piccola chicca, divertente e mai banale.
Consigliatissimo sia agli appassionati di fantascienza che agli amanti dell'umorismo inglese.


domenica 17 luglio 2011

Doomsday


Di Neil Marshall, 2008 (UK, USA, Sudafrica, Germania)
Con Rhona Mitra, Malcolm McDowell, Bob Hoskins, David O'Hara
Scritto da Neil Marshall
Montaggio di Neil Marshall, Andrew MacRitchie
Fotografia di Sam McCurdy
Musiche di Tyler Bates
Durata: 105 min.

In pochi giorni un terribile virus spazza via gran parte della popolazione della Scozia; per contenerne la diffusione endemica si decide di costruire un enorme muro di cinta che separi il paese dal resto del mondo.
Senza che questo diventi una specie di post politico, va subito detto che in questo film, agli scozzesi, è stata offerta un'opportunità incredibile. Vengono isolati e dimenticati dal mondo, senza governi o istituzioni a imporre regole e ritmi di vita, niente inquinamento, banche, soldi, insomma: le condizioni ideali. I pochi superstiti però non ne approfittano, e invece di ripartire da zero costruendo la società dei sogni, si dividono in due principali fazioni: la prima composta da cannibali sadomasochisti, la seconda da spostati convinti di trovarsi nel medioevo.
Ma in fondo non c'è niente di strano: in tutte le pellicole post-apocalittiche che ho visto, una volta che spariscono leggi e controlli gli esseri umani si trasformano - quasi tutti, praticamente senza eccezioni! - in stupratori e assassini, intenti a vagare per lande desolate in cerca della prossima vittima, perlopiù raggruppandosi in bande spietate dal grilletto facile. In questo caso c'è anche la scusante del virus, che all'inizio non deve aver reso la vita facile a nessuno.
Ad ogni modo, dopo la prima scena introduttiva che ci presenta in pochi minuti diffusione del virus, isolamento della Scozia e la bambina che diventerà poi la protagonista principale del film, passano una trentina d'anni, e nel frattempo il mondo sembra essersi dimenticato sia dell'epidemia che dell'intera Gran Bretagna, schiacciata da sovraffollamento e disoccupazione. Come se non bastasse, nei sobborghi di Londra viene individuato il focolaio di quello che sembra essere a tutti gli effetti il virus Reaper che aveva sterminato la Scozia. In una lotta contro il tempo, il governo inglese, ormai a conoscenza del fatto che alcuni superstiti sono riusciti a resistere al virus, incarica quindi Bob Hoskins di mandare una squadra oltre il Muro per trovare una possibile cura.
Lo dico subito: Doomsday è una trash-tamarrata che probabilmente non ha nemmeno la metà del fascino delle pellicole a cui si ispira e che vuole senza dubbio omaggiare, eppure, nella sua sfacciataggine, riesce a stupirmi ad ogni visione. Marshall mette su un divertissement senza logica, fra punk, cavalieri medievali con lancia e armatura, scene cannibalesche fuori luogo, combattimenti sanguinolenti e vari inseguimenti in moto, treno, macchina e mezzi blindati. Non c'è nessuna morale particolare, nessuna critica alla società, solo intrattenimento senza pretese. Talmente esagerato che funziona alla grande.


sabato 16 luglio 2011

Below


Di David Twohy, 2002 (USA)
Con Matthew Davis, Bruce Greenwood, Olivia Williams, Holt McCallany, Scott Foley, Zach Galifianakis, Jason Flemyng, Dexter Fletcher, Nick Chinlund
Scritto da David Twohy, Darren Aronofsky, Lucas Sussman
Montaggio di Martin Hunter
Fotografia di Ian Wilson
Musiche di Tim Simonec, Graeme Revell
Durata: 105 min.

Seconda guerra mondiale, Oceano Atlantico: un sottomarino statunitense riceve l'ordine di andare a recuperare i superstiti di un nave britannica distrutta dai tedeschi. Arrivati sul posto, riescono a salvarne solo tre, prima di dover scappare da una nave da guerra nazista di pattuglia nella zona. Fra loro c'è Claire, una donna che dopo qualche ora a bordo inizia a legare con uno degli ufficiali. I due scoprono che il comandante e alcuni dei suoi uomini più fidati nascondono un terribile segreto. Intanto, uno strano fantasma inizia a terrorizzare i membri dell'equipaggio.
Mai visto un film con così tante facce conosciute a cui sul momento non sapessi associare un nome, a parte Olivia Williams. Nei primi dieci minuti era un continuo “toh, c'è anche lui!”
David Twohy non ha fatto molto, e le poche cose che ha fatto non sono certo memorabili, ma gli va comunque riconosciuto un certo stile. Con Pitch Black ad esempio, è addirittura riuscito a creare un piccolo fenomeno con tanto di aficionados duri e puri, speranzosi di poter finalmente vedere realizzato anche il terzo capitolo della saga di Riddick. Il secondo mi era piaciuto meno, e al cinema, in alcuni momenti, non ero riuscito a non storcere il naso per alcune trovate che sembravano un po' campate per aria. Tuttavia, rivedendolo, senza pretese e già sapendo a cosa andare incontro, ci si rende conto che è un film che a momenti riesce anche a divertire. Nel suo piccolo, avevo trovato molto gradevole anche A perfect getaway, un onesto thriller d'azione ambientato nel lussureggiante verde delle Hawaii, con due serial killer a caccia di coppie in luna di miele, inseguimenti nella natura e una buona regia.
Qui Twohy parte bene: la parte iniziale è ben costruita, e dopo i primi minuti già gongolavo al pensiero di passare un'ora e quaranta in un sottomarino infestato da uno spietato fantasma vendicativo. In più, va detto che ambientare il film in un sommergibile da guerra e concentrarsi non tanto sul conflitto in corso (cheppalle) quanto su spettri e maledizioni, è un altro punto a favore. La storia avanza quindi senza troppi problemi, fra qualche spavento sparso e timidi colpi di scena comunque efficaci.
Insomma, è un film godibile, direi. Scritto bene (fra gli sceneggiatori c'è anche Aronofsky), non si prende mai sul serio e si perde solo in parte in un finale un po' sempliciotto. Ovviamente va visto senza nessuna aspettativa particolare.

mercoledì 13 luglio 2011

Valhalla Rising


Di Nicolas Winding Refn, 2009 (Danimarca, UK)
Con Mads Mikkelsen, Alexander Morton, Maarten Stevenson
Scritto da Nicolas Winding Refn, Roy Jacobsen
Montaggio di Matthew Newman
Fotografia di Morten Søborg
Musiche di Peter Kyed, Peter Peter
Durata: 93 min.

One Eye è un temuto guerriero che alcuni vichinghi tengono prigioniero in una gabbia, facendolo uscire di tanto in tanto perché combatta a mani nude contro altri membri del gruppo. Un giorno riesce a liberarsi, uccide senza troppe difficoltà i suoi aguzzini e si unisce quasi per caso ad uno sparuto gruppo di vichinghi cristiani diretti verso la terra santa in cerca di fama e ricchezza. Saranno cazzi.
Tutto pensavo, prima di affrontare la visione di questo film, tranne che di trovarmi di fronte ad un prodotto che tanto mi avrebbe ricordato il cinema di Bergman (per quel poco che ho visto), Tarkovskij e pure di Herzog, con Aguirre, furore di Dio. Tempi dilatati, molte scene prive di dialoghi, uso del ralenti, forte presenza della natura - alcune scene con l'acqua sembrano provenire direttamente da Stalker, su tutte quella in cui One Eye recupera la punta di freccia – e una fotografia esemplare (varrebbe la pena vederlo anche solo per le immagini ed i paesaggi).
Al contrario di quella porcata di 300 o di molti altri film con protagonisti impavidi combattenti, qui la violenza non è mai fine a se stessa, e seppur presente in abbondanza non viene esaltata né mostrata in modo insistente.
Qui è diverso: i guerrieri sono perdenti in partenza, gente che non ha più nulla da chiedere e che nemmeno sa contro chi o cosa ribellarsi. Non vengono glorificati, semmai derisi, e la loro fede assoluta, apparentemente incrollabile, finisce per scontrarsi con le leggi non scritte di un mondo che non accetta credenze di sorta, né tantomeno chi in nome di questa o quella religione si pone al di sopra degli altri.
Il solo personaggio a non dare mai l'impressione di trovarsi fuori posto o in cerca di qualcosa che sa già di non poter raggiungere, è proprio One Eye, che pure nella scena finale apparirà in realtà come l'unico ad aver raggiunto il proprio scopo.
Non è sicuramente un film a cui dare un'interpretazione perfetta, che non ammetta repliche, e probabilmente ognuno finirà per vederlo come più gli aggrada. Si dice che One Eye sia Odino, ma io di Odino non so nulla, e durante la visione non ci avevo quindi minimamente pensato.
Quello che conta è che con il suo stile ipnotico e riflessivo, Refn riesce ad incantare per novanta minuti.

lunedì 11 luglio 2011

Giovani donne

Winter's bone
Di Debra Granik, 2010 (USA)
Con Jennifer Lawrence, John Hawkes, Shelley Waggener, Garret Dillahunt
Scritto da Debra Granik, Anne Rosellini, tratto dal romanzo di Adrien Woodrell
Montaggio di Affonso Gonçalves
Fotografia di Micheal McDonough
Musiche di Dickon Hinchliffe
Durata: 100 min.

In una regione montuosa fredda e desolata, Ree, una diciassettenne che deve occuparsi di due fratelli più piccoli e di una madre malata, si mette sulle tracce del padre spacciatore per evitare di perdere la casa. La gente del posto ed i vari conoscenti di suo padre non sembrano però intenzionati ad aiutarla, e pur di farla desistere arriveranno anche a minacciarla.
Le aspettative erano alte: nominations agli oscar (no, è vero, non significano nulla), premi raccattati in vari festival in giro per il mondo (trentasette, secondo imdb) e una trama che sembrava decisamente interessante. La delusione quindi non è stata poca.
Se Il discorso del re fa di tutto per piacere al pubblico dell'Academy, questo fa di tutto per piacere a quello del Sundance. La ricerca del realismo a tutti i costi mi è parsa spesso forzata, così come le varie dinamiche che regolano i rapporti fra i personaggi. Alla fine è il classico drammone indie - o presunto tale - americano.
La scena più significativa è forse quella del reclutamento, ma il problema è che non ho saputo come interpretarla. L'unico motivo che spingerebbe Ree ad arruolarsi è la paga non indifferente che riceverebbe, e questo fa capire come la mancanza di alternative possa spingere le persone a scelte così drastiche. Il soldato che si occupa dei colloqui però le fa capire che servirebbero altri motivi più importanti e significativi. Ecco, mi piacerebbe sapere quali siano, questi “nobili” motivi per cui varrebbe la pena servire le forze armate.
Ad ogni modo non mi ha colpito né emozionato in modo particolare, più che altro mi ha lasciato indifferente, e fra qualche giorno già me lo sarò dimenticato.


True Grit
Di Ethan Coen, Joel Coen, 2010 (USA)
Con Hailee Steinfield, Jeff Bridges, Matt Damon, Josh Brolin, Barry Pepper
Scritto da Ethan Coen, Joel Coen, tratto dal romanzo di Charles Portis
Montaggio di Ethan Coen, Joel Coen
Fotografia di Roger Deakins
Musiche di Carter Burwell
Durata: 110 min.

Mattie, una ragazzina ben più matura della maggior parte degli adulti che la circondano, arriva in città per occuparsi della sepoltura del padre e rintracciarne l'assassino. Per farlo si rivolge a Rooster Cogburn, uno scontroso cacciatore di taglie sempre ubriaco ma dal cuore tenero.
Mi aspettavo un western sporco e cattivo, un po'come Non è un paese per vecchi, ma qui i due registi si limitano a raccontare una specie di favola. I momenti drammatici e violenti che uno si aspetterebbe in un film del genere non mancano, ma purtroppo, ad avere la meglio, sono i siparietti comici, che, per quanto possano essere riusciti, ho trovato spesso fuori luogo e finiscono per togliere carattere al film.
Sia chiaro, la pellicola è comunque girata benissimo e gli attori, come sempre quando a dirigerli ci sono i Coen, fanno un ottimo lavoro. La storia poi è affascinante, Cogburn regala qualche bel momento e la caparbietà di Mattie è ammirevole, ma non mi è rimasto altro. Una mezza delusione anche questa. Probabilmente saprò apprezzarlo di più rivedendolo una seconda volta.


Diciamo che non sarebbe stato male vedere la sceneggiatura di Winter's Bone affrontata dai Coen, e quella di True Grit dalla Granik.

domenica 10 luglio 2011

127 hours


Di Danny Boyle, 2010 (USA, UK)
Con James Franco, Kate Mara, Amber Tamblyn, Clémence Poésy
Scritto da Danny Boyle, Simon Beaufoy, tratto dal libro di Aron Ralston
Montaggio di Jon Harris
Fotografia di Anthony Dod Mantle, Enrique Chediak
Musiche di A.R. Rahman
Durata: 94 min.

Se non l'avete visto e non conoscete la storia non leggete oltre, ma insomma, questo è il film del tipo che si è salvato tagliandosi il braccio, quindi non penso ci siano particolari spoiler...
Danny Boyle finora ha fatto un po' di tutto: commedie, horror, fantascienza, drammi... Qui racconta la storia di Aron Ralston, un ingegnere appassionato di esplorazioni ed arrampicate che nel 2003 rimase intrappolato all'interno di un canyon, col braccio destro bloccato da un masso accidentalmente smosso durante la scalata. Dopo cinque giorni di inutili tentativi di rimuoverlo, praticamente privo di forze, decise di amputarsi il braccio con un coltellino. Riuscì infine a liberarsi e a trovare aiuto.
Penso che chiunque, anche solo leggendo la trama del film o il resoconto dell'avventura di Ralston, sia arrivato a porsi l'inevitabile domanda: “ma io ne sarei stato capace?” Rompersi volontariamente le ossa del braccio e poi, con un coltellino nemmeno troppo affilato, tagliare carne, vene, tendini, nervi... Un'ora di “lavoro”, a detta dello stesso Ralston; un'ora di dolore, sudore e sacrificio per tornare liberi e non morire, o almeno provarci, perché poi bisogna anche avere la fortuna di incontrare una famiglia casualmente di passaggio che chiami i soccorsi evitandoti di morire dissanguato. Ma una cosa è certa: Ralston, a quel punto, se l'era sicuramente meritato!
C'è poco da fare, Boyle mi è quasi sempre piaciuto, e gli perdono anche Una vita esagerata e Slumdog Millionaire. Il suo stile, come al solito, è ben riconoscibile: un buon ritmo, qualche sperimentazione visiva - efficace soprattutto nella scena dell'amputazione -, e tanta importanza data alla colonna sonora.
Inoltre, come ci aveva già fatto vedere in The Beach, nel finale a tinte horror praticamente senza dialoghi di Sunshine o nel delirio di violenza di Jim in 28 giorni dopo, gli ultimi minuti di film sono caratterizzati da un coinvolgente crescendo di emozioni, col protagonista principale costretto alle prove più difficili pur di provare a salvare il mondo, gli amici, o in questo caso se stesso.
Niente di sconvolgente, ma molto gradevole.





sabato 2 luglio 2011

Alien


Di Ridley Scott, 1979 (USA, UK)
Con Sigourney Weaver, Tom Skerritt, Veronica Cartwright, John Hurt, Ian Holm, Yaphet Kotto, Harry Dean Stanton
Scritto da Dan O'Bannon, Ronald Shusett
Montaggio di Terry Rawlings, Peter Weatherley
Fotografia di Derek Vanlint
Musiche di Jerry Goldsmith
Durata: 117 min.

Una delle cose più piacevoli del riguardarsi il primo capitolo della saga dedicata alla specie aliena più spietata di tutti i tempi è il notare - con una certa soddisfazione e in barba al politicamente corretto nauseante di questo periodo - che in quegli anni, sulle astronavi, si poteva ancora fumare.
Il resto è meraviglioso, ma già si sapeva: ambientazioni fantastiche, le uova che si aprono, strani parassiti che ti si attaccano alla faccia, spazio profondo, un alieno praticamente invincibile, Ripley col lanciafiamme...
La storia è più che nota: il computer della Nostromo, un'enorme astronave cargo di ritorno verso la Terra, interrompe il criosonno dei sette membri dell'equipaggio dopo aver captato uno strano segnale proveniente da un piccolo pianeta disabitato. Pena l'annullamento del contratto con la compagnia per cui lavorano, i nostri sono costretti a scendere sul pianeta per indagare, scoprendo che il segnale proviene dal vecchio relitto di una nave aliena al cui interno si trovano centinaia di uova. Avvicinandosi a una di esse, Kane si fa aggredire da un organismo che gli si attacca alla faccia facendolo entrare in coma. Dopo qualche ora l'organismo si stacca, muore, e Kane sembra riprendersi nel migliore dei modi. Per festeggiare, prima di rientrare nel criosonno per i dieci mesi che mancano all'arrivo sulla Terra, l'equipaggio si concede un'ultima cena. Sembrano tutti allegri, dopo le ore di tensione vissute a causa di quel singolare incontro ravvicinato, fino a quando, in una delle scene più famose e citate degli ultimi trent'anni di cinema - girata un'unica volta, senza tagli, con quattro telecamere -, dal corpo di Kane fuoriesce l'alieno che nelle ore successive diventerà l'incubo di ognuno dei sei sopravvissuti - sette, contando Jones.
Quella dell'esplosione finale è una delle poche scene in cui risultano evidenti i trent'anni abbondanti di questa pellicola; per il resto, potrebbe praticamente essere stata girata l'anno scorso. Perfetto, lento ma senza scene di troppo, ricco di tensione e dal fascino artigianale, unisce senza sbavature horror e fantascienza ed è pieno zeppo di scene memorabili. Un altro degli aspetti che contribuiscono alla tensione e all'efficacia del film è che a combattere l'alieno non sono militari armati e addestrati, ma tecnici, scienziati e piloti impauriti, inadeguati al compito ma comunque disposti a tutto pur di riuscire a salvarsi. E poi c'è il senso di attesa, la prima lunga scena senza dialoghi, il disagio che cresce col passare dei minuti, la paura che viene suggerita ma quasi mai direttamente mostrata, al punto che solo verso la fine del film è possibile avere un'idea più chiara delle sembianze dell'alieno.
Nel sequel, Cameron darà alla saga un'impronta più action, in un film forse meno affascinante ma a suo modo quasi perfetto. Per Fincher non sarà facile mantenere così alto il livello, ma il terzo episodio l'ho trovato comunque decisamente riuscito. Per me sarà Jeunet a rovinare tutto, quasi vent'anni dopo questo primo, inarrivabile capitolo.